Confinamento degli animali negli allevamenti: impatto ambientale e normativa

Confinare gli animali ha un enorme impatto, e non soltanto per gli animali, ma anche per la salute, nostra e del pianeta. Allora perché rinchiudiamo gli animali, e com’è che le cose sono andate così male da mettere a rischio il nostro future? 

Cosa è il confinamento degli animali?

Miliardi di animali allevati in tutto il mondo sono confinati in gabbie così piccole che a malapena riescono a muoversi. Scrofe, galline e vitelli sono le soggettività più frequentemente confinate in questo modo, nonostante siano esseri senzienti in grado di soffrire. Per queste creature, la liberazione da questo confinamento debilitante avviene quasi sempre solo il giorno in cui vengono mandate al macello. 

La reclusione e la deprivazione sono i “pilastri portanti” degli allevamenti intensivi – li ammassiamo e li vendiamo a basso costo. È qualcosa che forse i nostri bisnipoti faranno fatica a credere sia mai stato autorizzato. 

La diffusione dei CAFO (Concentrated Animal Feeding Operations)

Sono lontani i giorni in cui un numero esiguo di animali veniva allevato in una piccola fattoria a conduzione familiare. Oggi, la produzione è a livello industriale, e la maggior parte di carne, uova e latticini proviene da animali detenuti in allevamenti intensivi, spesso legati a contratti quadro.

In Italia il numero di allevamenti “industriali” non è certo quello degli USA, dove si contano circa 20.000 allevamenti intensivi, ma abbiamo comunque 9.000 allevamenti avicoli, dove nascono, crescono e muoiono 137 milioni di polli e galline, spesso senza mai vedere la luce del sole. E se ISTAT non rileva più i dati degli equini allevati nel nostro paese, sappiamo però che la maggior parte dei 6,3 milioni di bovini e bufalini è allevata in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Campania (per i bufalini). E la metà degli 8 milioni e mezzo di suini è allevata in Lombardia.    

Nonostante l’immenso impatto negativo degli allevamenti intensivi – per l’ambiente, le persone e gli animali – il numero di allevamenti nel nostro paese diminuisce solo per concentrare sempre più le attività.

Suini e gabbie di gestazione

Le gabbie di gestazione sono gabbie metalliche, nude, con una griglia come pavimentazione, talmente piccolo che la scrofa può soltanto stare in piedi o sdraiata, ma non può voltarsi o fare un passo avanti o indietro. Una volta inseminate, le scrofe sono spesso confinate in questi marchingegni anche per tutte e 16 le settimane di gravidanza. In natura, camminerebbero per chilometri per trovare un luogo sicuro in cui costruire il giaciglio migliore dove partorire. Nelle gabbie, le scrofe cercano disperatamente di preparare il giaciglio per partorire benché non abbiano alcun materiale a disposizione.

Le ricerche mostrano che i suini sono intelligenti quanto gli scimpanzé. Sono in grado di giocare con i video giochi e sono fantastici nel risolvere rompicapi, possono comprendere il linguaggio simbolico e imparare ad utilizzare combinazioni complesse di simboli per compiere azioni e identificare oggetti. Hanno un’ottima memoria a lungo termine e questo significa che difficilmente dimenticheranno le gabbie, anche qualora venissero liberati.

Secondo la neuroscienziata Lori Marino della Emory University, “i suini condividono una quantità di capacità cognitive con altre specie altamente intelligenti come i cani, gli scimpanzé, gli elefanti, i delfini e persino gli esseri umani”. Dovremmo chiederci dunque: tratteremmo mai in questo modo individui di queste specie?

Galline e gabbie in batteria

Ci sono due razze distinte che sono state selezionate appositamente dall’industria zootecnica – quella in grado di mettere su peso rapidamente e che può quindi essere sfruttata e uccisa per la carne, e quella in grado di produrre una grande quantità di uova, con un minimo apporto di cibo. In Italia, la maggior parte delle galline allevate per le uova è detenuta in gabbie.

All’interno di queste gabbie, ogni gallina ha a disposizione uno spazio pari ad un singolo foglio A4. Non possono spiegare le ali, né possono fare bagni di sabbia, preparare il nido, foraggiare o raspare la testa – tutti comportamenti per loro naturali. Non possono neanche covare le proprie uova, ma solo guardarle mentre rotolano via. Le galline sono madri fantastiche – da qui il detto “fare la mamma chioccia” – e non avere la possibilità di prendersi cura dei propri piccoli è una pesante deprivazione. 

In quelle gabbie, che feriscono le loro zampe e in cui trascorrono la loro intera vita, le galline si vedono negare qualsiasi cosa possa rendere la vita degna d’essere vissuta. 

Vitelli e gabbie per vitelli

Persino oggi molte persone non sanno che le mucche – come tutti i mammiferi – devono essere prima ingravidate e partorire per produrre latte, e quel latte non è certo destinato al nostro cappuccino, ma per nutrire il loro cucciolo.  Da una prospettiva umana, questo cucciolo non è altro che un sottoprodotto indesiderato. Dopotutto, l’unica cosa che vogliamo è il latte. Ma dalla prospettiva della madre, il vitello è suo figlio ed entrambɜ soffrono profondamente quando vengono separatɜ, cosa che avviene normalmente subito dopo la nascita. 

Poiché i vitelli maschi non possono produrre latte e non sono considerati adeguati per essere allevati e trasformati in carne di manzo, vengono portati via alle loro madri così che non possano bere quel prezioso latte. Spesso vengono confinati e incatenati all’interno di recinzioni così piccole da non potersi muovere. 

Anziché bere il latte della propria madre, vengono allevati con una formula che li tiene in vita ma che deliberatamente non contiene ferro, così che le loro carni rimangano pallide e “quasi anemiche”– per rispondere alle richieste dei consumatori. Tutto questo ha un costo. Questi giovani animali soffrono molto spesso di enteriti e diarrea, infezioni digestive e ulcere. Quello che è considerato una delizia culinaria è in realtà malattia. 

Impatto ambientale del confinamento animale estremo 

Di tutti i mammiferi sul pianeta, uno sconvolgente 60 per cento è costituito da animali allevati che sono stati appositamente fatti nascere e tenuti in condizioni artificiali. Quando confiniamo e ammassiamo in modo innaturale numeri enormi di animali, è inevitabile che ci sia un costo in termini ambientali. E c’è. Ed è enorme. 

Per prima cosa, far nascere, allevare e macellare miliardi di animali è una delle principali cause della crisi climatica. Di fatto, la zootecnia produce più emissioni climalteranti del carburante che utilizziamo in ogni auto, nave, camion, treno e aereo sul pianeta. I cambiamenti climatici hanno un impatto su ogni forma di vita del pianeta, e questo rende la zootecnia una minaccia globale. 

Inoltre, con così tanti animali ammassati nello stesso posto, sono necessarie imponenti quantità di cibo per mantenerli in vita. E poiché agli animali non è consentito brucare o foraggiare liberamente, il loro mangime è coltivato altrove – fin troppo spesso su terre deforestate – e trasportato su strada, mare o via aerea fino agli allevamenti, esacerbando ulteriormente i cambiamenti climatici e portando alla perdita di habitat naturali e alla distruzione delle specie selvatiche.

Gli allevamenti intensive hanno un impatto devastante anche a livello locale, in particolare per l’eccessiva produzione di liquami. Alcuni degli allevamenti più grandi possono produrre in un anno più rifiuti di alcune città. Ci sono semplicemente troppi liquami perché la terra possa assorbirli, così There is too much for the earth to absorb, and so it runs off the land, or leaches out of the storage facilities, and pollutes ground, waterways and the air.

I liquami prodotti dagli animali confinati negli allevamenti intensivi contengono anche diverse sostanze potenzialmente contaminanti, inclusi azoto e fosforo, patogeni come la E. coli, ormoni della crescita, antibiotici, prodotti chimici e sangue animale. 

Simili contaminanti sono responsabili dell’insorgenza e diffusione dei bloom (o fioriture) algali e delle zone morte negli oceani – aree talmente prive d’ossigeno che le specie marine selvatiche possono soltanto fuggire o morire.

L’impatto umano del confinamento animale estremo

Con l’inquinamento di aria, acqua e suolo, è inevitabile che vengano colpite anche le persone che lavorano all’interno di questi allevamenti o vivano nelle immediate vicinanze. E non si tratta soltanto del rischio di morire per le esalazioni di metano che si sprigiona dai liquami – anche all’aperto – perché gli allevamenti intensivi sono anche collegati all’aumento di patologie respiratorie e di reazioni allergiche. 

I problemi di salute non sono limitati agli operatori negli allevamenti, ma colpiscono anche lɜ residenti delle aree in cui sorgono. Alcune ricerche dimostrano che quantɜ vivono a 2,5 km da un allevamento intensivo hanno maggiori probabilità di soffrire di riniti allergiche, allergie polmonari e asma rispetto a quantɜ vivono a 8 km di distanza.

Per lɜ residenti locali, la qualità della vita si può abbassare notevolmente. Mosche e zanzare possono rendere insopportabile trascorrere tempo all’esterno, mentre la puzza e la bassa qualità dell’aria può provocare bruciore agli occhi e rinorrea. Uno studio ha rilevato che: “Gli inquinanti aerei derivanti dalle operazioni quotidiane nei capannoni di confino, pozzi neri e vasche per liquami e lo spandimento di questi ultimi sui campi colpiscono le comunità limitrofe, dove provocano l’interruzione delle attività giornaliere, stress, ansia, irritazione delle membrane mucose, problemi respiratori, ridotta funzionalità polmonare e ipertensione acuta”.

Il confinamento di animali in Europa

Nell’ottobre 2020 un’iniziativa dei cittadini europei ha presentato alla Commissione Europea quasi 1 milione e 400 mila firme per chiedere l’abolizione di qualsiasi tipo di gabbia negli allevamenti dell’Unione. Nel giungo 2021, il Parlamento Europeo ha espresso il proprio sostegno all’iniziativa “End the Cage Age” e ha confermato che entro la fine del 2023 avrebbe finalizzato una proposta legislativa per abbandonare – e entro il 2027 vietare – l’utilizzo delle gabbie per l’allevamento di galline ovaiole, scrofe e vitelli, nonché conigli, polletti, riproduttrici per polli broiler, quaglie, anatre e oche. 

Questo non significa però che la proposta verrà accettata e soprattutto recepita dai paesi dell’Unione. Il collettivo “End the Cage Age” rivela chiaramente che Italia, Francia, Spagna, Portogallo – solo per citare alcuni dei Paesi che saranno coinvolti dalla nuova normativa, qualora venisse approvata – hanno meno del 40 per cento degli animali allevati liberi da gabbie. 

Com’è il confinamento degli animali negli zoo, nei circhi e negli acquari?

Gli animali allevati sono quelli più comunemente e crudelmente rinchiusi – ma non sono le uniche specie costrette a soffrire in questo modo. Gli animali detenuti a scopo di intrattenimento negli zoo, nei circhi e negli acquari subiscono un trattamento analogo – anche a loro vengono negati i comportamenti naturali. Vengono detenuti in spazi angusti, con ben poco che possa intrattenere le loro menti attive. Negli zoo, troppi animali vivono a metà – respirano, mangiano e subiscono. 

Fra gli individui maggiormente colpiti ci sono gli elefanti, che spesso vengono costretti a vivere da soli per decenni benché siano animali naturalmente sociali, che vivrebbero in grandi branchi con struttura matriarcale. Uno studio ha rilevato che la maggior parte dei 390 elefanti morti negli zoo statunitensi negli ultimi 50 anni è deceduta per via di ferite o malattie direttamente collegabili alle condizioni di detenzione.

Per gli animali utilizzati nei circhi, la vita sulla strada ha un costo altissimo. “Non è un singolo fattore”, afferma Stephen Harris dell’Università di Bristol, UK, ricercatore capo in uno studio sul benessere degli animali nei circhi. “Fra mancanza di spazio ed esercizio e mancanza di contatti sociali, sono molti i fattori che presi insieme dimostrano che la loro qualità di vita è davvero infima se paragonata a ciò che potrebbero avere in libertà”. 

Gli elefanti possono essere legati ai ceppi dalle 12 alle 23 ore al giorno quando non si esibiscono, in spazi di non più di 12 metri quadrati. Spesso, possono muoversi giusto per lo spazio consentito dalle catene che bloccano le loro zampe – appena 1 o 2 metri. Allo stato brado, gli elefanti passano anche il 75 per cento del loro tempo a mangiare, e possono percorrere fino a 50 chilometri al giorno. 

Non sono soltanto gli elefanti a soffrire. Leoni, tigri, orsi, pappagalli e innumerevoli altre specie adottano movimenti ripetitivi anomali e stereotipati. Sono segnali chiari del fatto che gli animali siano profondamente angosciati, e gli stessi comportamenti si verificano negli animali allevati. Le scrofe che costruiscono giacigli immaginari nelle gabbie di gestazione sono solo uno degli esempi, ma ce ne sono altri – ad esempio leccare o mordere ripetutamente le sbarre che le detengono, o “masticare a vuoto”, quando in realtà non hanno nulla a disposizione da masticare.

Conclusioni

Il confinamento in spazi angusti degli animali negli allevamenti è un crimine terribile della società moderna, eppure non è un problema astratto su cui non abbiamo alcun controllo. Come consumatori e cittadini, è decisamente in nostro potere porre fine a questo trattamento riservato ai nostri fratelli animali. 

Per prima cosa, possiamo supportare gruppi come Animal Equality o Essere Animali o LAV, nelle loro campagne per far approvare leggi che proteggano gli animali dalle peggiori condizioni di detenzione. 

Ma possiamo fare di più. Ognuno di noi può fare un potente cambiamento nella propria vita che potrà mettere fine a questa crudeltà, per sempre. Possiamo unirci ai milioni di individui in tutto il mondo che hanno preso la decisione di smettere di mangiare animali, e possiamo iniziare oggi stesso. 


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